Gutiérrez /4 – Il nido del serpente

Un’altra occasione per parlare di Gutiérrez ( qui trovate le altre recensioni: Trilogia sporca dell’avana, Animal tropical, Il re dell’avana).

Pedro precisa subito in una nota all’inizio del libro che l’opera è di fantasia, ma un viaggio tra le pagine di Gutiérrez non si rifiuta mai, anche se inventato, per quel suo modo sporco e torbido di raccontare la miseria e a cosa porta, per quel fiume di inchiostro che ti lascia il segno sulle dita e nel cuore. Gutiérrez ha una caratteristica che ha consolidato il mio rispetto per le sue opere: Non giudica, in nessun modo, e non è cosa da poco.

Poco dopo, a diciott’anni, avevo già ben chiaro che non avrei mai scritto per compiacere e divertire. Non avrei regalato bei momenti a gente irreprensibile, bacchettona e annoiata. Al contrario: Con i miei libri gli sarebbe andata male, perché avrei fatto traballare la loro irreprensibilità e le loro buone maniere. Mi avrebbero odiato.

Questo nido dà rifugio alle idee estreme e inconfessabili del giovane protagonista del romanzo, la storia avventurosa di un ragazzino che passa da un lavoro all’altro: venditore di gelati (con il padre – il sottotitolo del romanzo infatti è: Memorie del figlio del gelataio), pescatore, soldato. Il tutto, ovviamente, condito con rum di pessimo livello, povertà assoluta e sesso sfrenato ed estremo (mai è arrivato a spingersi così in là come in questo romanzo):

La routine era dura. Per fortuna, insieme a un gruppetto dei più svegli scovai lì vicino una vitellina.Nera, bellissima, con degli occhioni sognanti: Era di un contadino che la lasciava tutta la notte legata a un albero insieme alla mucca. Quasi ogni notte, tutto il picchetto andava a scoparsi la vitellina. La mucca no, perché aveva sempre il culo sporco di merda, oltre che una vagina enorme. Ma proprio enorme. La vitellina, invece, era un bocconcino. Ce l’aveva piccola, stretta, calda e rossa. Bellissima. A volte eravamo perfino in dieci. Uno dopo l’altro. Calcolammo che ogni notte raccoglieva un litro, un litro e mezzo di sperma nella sua fichetta. Anche la gioventù d’acciaio doveva divertirsi un pò. Per non dare di matto.

Quella di Gutiérrez è un’amara riflessione sulla povertà – nella sua isola e in generale –  ma è anche un modo per comunicare il bisogno e la possibilità, in ognuno di noi, di cogliere l’attimo, sperimentare, godere. E in ogni sua pagina sembra che l’autore sussurri costantemente la frase: ‘E a domani…ci penseremo domani’.

Siamo una commedia. Ho imparato a ridere di me. Ridi sempre di te stesso. Non degli altri. Prima guardati allo specchio. Avrai sempre qualche motivo per  ridere e prenderti in giro.

“Non hai mai pensato alla tua vita come a un romanzo? C’è sempre qualche bastardo accanto a te che ti detta ogni parola. E bisogna essere forti per dire di no. Stia zitto e mi rispetti. Il mio romanzo lo scrivo io.” “Succede sempre”. “Certo. Si nasce in mezzo a un branco. Perciò la lotta quotidiana non è per la sopravvivenza, ma per la libertà. Bisogna allontanarsi dal branco. Ho il diritto di vivere in un posto dove non mi umiliano”.

 

 

 

Gutiérrez /3 – Il re dell’Avana

Una storia d’amore, scritta alla Gutiérrez, ovviamente. Profonda e tragica.

Questo volume, a differenza di Trilogia sporca dell’Avana e Animal Tropical, ha più le sembianze di un romanzo vero e proprio. C’è un antefatto che darà il via alla vorticosa avventura di Rey, orfano che sopravvive di furti e traffici (sullo sfondo della Cuba descritta nelle sue puzzolenti viscere). Il protagonista trascinerà Magda in una storia di passione e infelicità fino ad un epilogo che ovviamente non rivelo ma che aderisce perfettamente alla realtà cinica della penna del cubano. Pedro Juan è capace di scrivere più o meno sempre lo stesso romanzo ma in maniera efficace. Le parole chiave, quindi, sono quelle di sempre: rum, sesso sfrenato, miseria, violenza; cinismo e voglia di vivere fino all’ultimo respiro.

Rey e Magda, zozzi eroi in simbiosi fino all’ultima pagina e oltre. Storie di miseria ed emarginazione che si incrociano, si allontanano per tornare vicine, ogni volta più crude e serrate.

Ottantatrè pesos. Era ricco. Non aveva mai visto tanto denaro in vita sua. Non appena l’ebbe compreso sentì appetito.

Finalmente libero da quella prigione umana, dura e odorosa di sudore, Rey si allontanò. Era ormai notte. Bevve la sua birra sorso a sorso. Non gli sembrava più che sapesse d’aceto. Così vanno le cose. Gli esseri umani si abituano a tutto. Se uno si vedesse servire tutti i giorni della sua vita una cucchiaiata di merda a pranzo e a cena, all’inizio avrebbe conati di vomito, ma alla fine aspetterebbe con ansia la sua bella cucchiaiata di merda, e farebbe carte false per averne due invece di una. In lontananza delle maschere provavano per il carro dello Scorpione. Tamburi e trombe cinesi. Tutti ridevano e si divertivano. Panem et circenses, dicevano i romani. Meglio ancora se innaffiati d’alcol.

Gutiérrez descrive i momenti fondamentali della storia con una semplicità incredibile:

Rey era completamente immerso nella bellezza. Nel crepuscolo, nelle donne, nell’allegria di vivere che pulsava attorno a lui, nella musica, nella presenza infinita del mare, nell’aria satura di odori. La vita pulsante. Ma lui non la vedeva.

Ho ancora molto da leggere di questo autore ma devo assolutamente prendere una pausa perché Trilogia, Animal tropical e quest’ultimo, mi hanno preso a cinghiate, lasciando segni evidenti.

Gutiérrez, Il sito.

Tappeto sonoro: In contrasto con il ritmo del libro, cose simili, per esempio: