s02e10 (Nel buio si vede)

E anche la seconda stagione delle cronache Anviliane è giunta al termine. Non ho molte parole da dire, solo ringraziare tutti coloro che seguono il blog con costanza. Quest’ultimo episodio della serie è dedicato a voi. Un giorno, quando tornerà il freddo, partirà la terza serie. Forse.

J.A.

E sentire che passano giorni e giorni,

con la promessa di sane allegrie

che una lontana sera sentiremo arrivare.

(Pablo Neruda, Della mia vita di studente)

Mentre spengo un fuoco mi chiedo se sia giusto farlo. Mi scotta ma fa anche luce. È vero che nel buio si vede, se sai dove guardare. Scintille. (che genesi)…(immensa?). Non esiste genesi migliore. Voglio una scintilla: Ne basta una. Per farmi capire come mi muoverò al buio. Solo un punto di riferimento.

Una piccola voce: Mamma, non voglio andare a casa!

(Non c’è miglior figura di una giovane madre che conosce le priorità di sangue)

Dà un tale coraggio da poter pensare di ricomporre un mondo intero, esploso.

Il silenzio radio durante le situazioni critiche è sempre stata la peggior tortura, da queste parti. Non avere notizie, quando sai che in realtà ci sono e sarebbero vitali. Solitudine, solo apparente. Necessaria, dolce. Mi lascio andare nel vuoto, per plasmarlo, nuovo. In continuo mutamento, bufere di pensieri che cercano spazio per esprimersi con tutti i gesti e le voci del mondo. Per un attimo capire che la fuga non è un sentiero di salvataggio. E non fuggire. Questa ex città, provincia dell’impero, dilettante e capace di brevi slanci prodigiosi, pornografica e austera, attraente come una grande calamita. Un bacio suadente, da mangiarsi le bocche e le pance, per finire un’attesa fisica e morale che scoperchia i nervi. Fa tremare la terra.

Nostra signora della piacevole confusione.

Ho già dimenticato gli attacchi oscuri del precedente cammino, metabolizzato la perdita di una parte di me, che era giusto scomparisse. È solo l’inizio, senza vestiti nuovi ma con una pelle sempre più elastica e avvolgente.

E così, lento processo di mutamento, inesorabile, che rilascia sapore di zucchero e di latte acido, annuncia il cambiamento, il rigoglio. E quando gli altoparlanti di stato suonano un canzone che normalmente non fa commuovere e gli occhi si gonfiano capisco che l’epidermide sta cambiando, di colore, di sostanza…che sta sparendo la terra sotto i piedi ma che posso fluttuare senza paura di non tornare giù.

Le targhe non servono a nulla, i documenti d’identità ancora meno. La terra è una sola, per tutti. Uomini sciagurati.

E’ stato un tempo il mondo giovane e forte,

odorante di sangue fertile,

rigoglioso di lotte, moltitudini,

splendeva pretendeva molto…

Famiglie donne incinte, sfregamenti,

facce gambe pance braccia…

(C.S.I.- Del mondo)

s02e09 (il faut cultiver notre jardin) Seconda ed ultima parte

Questo episodio delle cronache sarà un pò diverso dal solito (e può darsi che anche i prossimi lo siano). Mi spiego: di solito accompagno la mia scrittura con citazioni, che mi hanno in qualche modo ispirato, o suggerisco canzoni da ascoltare come sottofondo. Insomma, elementi che accompagnano il testo ma che non ne fanno parte pienamente. Quindi, perché non scrivere un pezzo sonoro che sostituisca alcuni concetti normalmente espressi in parole e utilizzare citazioni che sono parte integrante della narrazione o ancora scatti fotografici e immagini video? Come ‘prima volta’ ho scelto di utilizzare una canzone e due citazioni ma in futuro proverò anche a utilizzare immagini. Quindi, per farla semplice, ora fate partire la traccia audio (che rappresenta lo scontro con i cani neri), ascoltatela fino in fondo e poi procedete con la lettura).

¹

Ho tentato invano una mediazione con quello che, tra il gruppo, mi sembrava il cane più ragionevole. Mi ha ignorato. Giustamente. L’avrei fatto anche io, temo. Lascio una scia di sangue nella neve vergine. Mi manca il fuoco. Mi manca un amico appena ritrovato. La saliva è solida, potrei scolpirla. La paura è la solita. Non so cosa darei per avere un pò di Rum, anche di quarta segata. Perfino un tantino evaporato, lo apprezzerei.

Sanguino, ma non ci credo. La pianura. Non l’ho mai vista come la vedo ora, pericolosa e bella.

“Anch’io sono stordito dal biancore,

anch’io stupisco di quest’aria nuova:

nella vecchia città palpita adesso

un che di fresco, come di boschivo.”²

Bruciano le ferite provocate dalle fauci delle bestiacce e questo è il momento in cui più mi manca il vecchio mondo, ciò che ho lasciato nella città, ciò da cui sono scappato. Buffo pensare che, tutto ciò che ritenni seccante, ora mi sarebbe d’aiuto, mi garantirebbe ossigeno nelle vene. Apnea. Ossigeno. Apnea. Ossigeno.

La stagione del silenzio manda i suoi primi messaggi e arriverà, arrogante e inevitabile.

“Nel freddo mattino il sole velato

sta come una colonna di fuoco nel fumo.

Anch’io, come su una brutta fotografia,

sono da lui del tutto indistinguibile.”³

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Note al testo:

¹ ‘Lo scontro’ – musica di Virago (Fabio Roversi)

² Tratto da ‘La prima neve’ di Boris Sluckij.

³ Boris Pasternak