L’amore e la paura – [DFW]

Ad esempio venne fuori che una delle premesse operative basilari era l’assunto che in realtà c’erano due soli orientamenti che una persona potesse avere verso il mondo, (1) l’amore e (2) la paura, e che questi non potevano coesistere (o, in termini logici, che i loro ambiti erano completi e si escludevano a vicenda, o che i loro due insiemi non avevano intersezioni ma la loro unione comprendeva ogni possibile elemento…cioè in altre parole ogni giorno della tua esistenza lo passi al servizio dell’uno o dell’altro padrone, e «Non si possono servire due padroni» – di nuovo la bibbia – e una delle peggiori cose della concezione di una mascolinità competitiva, interessata ai risultati, che a quanto pare l’America programmava nei suoi maschi era che provocava una condizione più o meno continua di paura che rendeva pressoché impossibile amare sinceramente. Cioè, quello che passava per amore nel maschio americano era di solito solo il bisogno di essere preso in un certo modo, nel senso che i maschi moderni avevano così costantemente paura di «non essere all’altezza» (un’espressione del dott. G., senza nessuna allusione intenzionale) che dovevano passare tutto il tempo a convincere gli altri della loro «validità» maschile (anche questo guardacaso un termine della logica formale) per attenuare la propria insicurezza, rendendo quasi impossibile amare sinceramente.

(Caro vecchio neon, Oblio. Pag 196 – David Foster Wallace. Einaudi stile libero)

Italica150 e il lago d’Iseo

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(Foto: lungolago di Sale Marasino, lago d’Iseo)

«Mia carissima moglie» scrisse Taumann dalle rive del lago d’Iseo «godo di ottima salute e così spero di te, ma purtroppo il mio animo è carico di preoccupazioni, simile al cielo di qui che abbonda di nubi fosche. Numerosi come siamo procediamo lenti, troppo lenti! Ieri abbiamo coperto in quattordici ore una tappa che un pugno d’uomini potrebbe ben ultimare in metà di quel lasso di tempo: dobbiamo fermarci ogni volta che un portatore scivola nel fango, un mercante ci approccia o un cavallo guasta un ferro. Così la sera arriviamo sempre tardi: gli accoliti sbadigliano durante la cena, e a molti di loro si chiudono gli occhi nel bel mezzo delle discussioni serali. Ci manca il tempo di riposare, e qui ci sono ancora strade larghe e battute bene. Mi domando come faremo laddove i sentieri consentono il passaggio di una sola persona alla volta».

(Gli psicoatleti, Enrico Brizzi. Dalai editore 2011)