Quando leggo Philip Roth mi dimentico di mangiare

L’animale morente è un romanzo che affronta una lista considerevole di argomenti (amore,  sofferenza, sesso, ossessione e morte) in un centinaio di pagine, ma l’abilità di Roth sta proprio nel rendere l’opera credibile sulla breve distanza. Sicuramente non è tra le sue opere più rappresentative ma è diretta e coraggiosa. L’irriverenza è in primo piano, in buona compagnia della caratteristica ironia dell’autore, che controbilancia la presenza malinconica e triste di quella che resta – mi prendo la responsabilità di affermarlo – la nostra paura più grande: la morte.

Trovo in Roth una voce amica, e solidale nei confronti di alcune mie teorie che negli anni hanno preso forma sul tema del desiderio e del rapporto amoroso senza però fornirmi una risposta definitiva (ed è giusto così, anche questa mancanza di quadro esaustivo rende tutto più eccitante e complicato), ma lascio parlare lui:

Il grosso scherzo che ti fa la biologia è che raggiungi l’intimità con una persona prima di sapere qualcosa di lei. Fin dal primo momento, hai capito tutto. Inizialmente, l’attrazione è esercitata dalle superfici, ma c’è anche l’intuizione della dimensione più completa. E l’attrazione dev’essere necessariamente la stessa: lei può essere attirata da una cosa, tu da un’altra. È superficie, è curiosità, ma poi, boom, ecco la dimensione. È bello che lei sia di Cuba, è bello che sua nonna fosse questo e suo nonno quello, è bello che io suoni il piano e sia proprietario di un manoscritto di Kafka, ma questa è una digressione lungo la strada che ci porta nel posto dove stiamo andando. È una parte dell’incanto, immagino, ma è la parte di cui io farei volentieri a meno, senza la quale mi troverei molto meglio. Il sesso: ecco tutto l’incanto necessario. Le donne, per gli uomini, sono davvero tanto incantevoli, una volta tolto il sesso? C’è qualcuno che trova incantevole un’altra persona di questo o di quel sesso se non nutre per lei un interesse di natura sessuale? Da chi, ancora, ti fai incantare così? Da nessuno.

La storia narrata non è tra due coetanei, lei (Consuelo) ventiquattro anni, lui sessanta (David Kepesh, personaggio apparso per la prima volta nel 1972 nel romanzo il seno e successivamente nel 1977 ne il professore del desiderio), ma il senso, secondo me, rimane immutato e sottolinea, più che altro, il cambiamento della prospettiva che si ha di certi argomenti, in diversi periodi della vita. Riflessi palpitanti come il sesso tra un uomo che lotta contro la vecchiaia e una ragazza giovane e bella che lotta contro la morte.

Non poteva esserci voluto molto tempo perché nella sua mente si formasse l’idea che continuare a credere, come una giovane studentessa, che a dirigere il ballo fosse l’anziano professore non si conciliava con la realtà. Nel sesso, infatti, non c’è un punto di stasi assoluta. La parità sessuale non esiste e non può esistere, sicuramente non una parità dove siano pari le rispettive dotazioni, dove il quoziente maschile e il quoziente femminile siano in perfetto equilibrio. Non c’è modo di trattare metricamente questa cosa selvaggia e sfrenata. Non ci sono fifty-fifty come nelle transazioni d’affari. È del caos dell’eros che parliamo, di quella radicale destabilizzazione che è il suo eccitamento. In materia di sesso, è un tornare nella foresta. Un tornare nella palude. Uno scambio di dominio, uno squilibrio perenne, ecco di che si tratta. Vuoi escludere il dominio? Vuoi escludere la resa? Il dominio è la pietra focaia, fa sprizzare la scintilla, avvia il meccanismo. Poi…Cosa? Ascolta. Lo vedrai. Vedrai a che cosa porta dominare. Vedrai a che cosa porta essere dominati.

Insomma, un libro che dà la possibilità di osservare la sfera sessuale in maniera diretta e che pone il concetto di velocità della vita che tutto travolge, che tutto assorbe, quella stessa vita che offre anche una preziosa occasione di essere vissuta nel profondo dello spirito, della carne, fino a colpire le ossa, rivelando la fragilità (e la potenza) umana.

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Consumami il cuore; malato di desiderio

E avvinto a un animale morente che non sa cos’è.

(W.B. Yeats)